32 ANNI FA VENIVA ASSASINATO WALTER TOBAGI: PER LA CONSAPEVOLEZZA DEL SACRIFICIO DI UN GIORNALISTA NATO A SPOLETO
Il 28 maggio 1980 fu assassinato dalla brigata ‘XXVIII° Marzo’, era nativo di San Brizio. Le nuove generazioni devono sapere e non possono dimenticare
di Manuele Fiori
Da qualche tempo è sui libri di storia, tutti ne parlano, tanto è stato detto e ridetto, scritto e dedicato, ma è doveroso soffermarsi sull’uomo che è stato Walter Tobagi, per continuare a non dimenticare, per il contributo al giornalismo italiano, motivo di vanto nazionale, che è riuscito a dare pur solo in 33 anni di vita.
Nato il 18 Marzo del 1947 nella frazione di San Brizio infatti, l’ha lascerà solo 8 anni dopo, nel 1955, per trasferirsi a Bresso (Milano) con la sua famiglia, quando il papà Ulderico (conosciuto in paese come “Chinotto” per la sua scura carnagione), ferroviere, andrà a lavorare lì. I nonni paterni di Walter, Natale e Ippolita, secondo quanto ci racconta oggi la figlia Benedetta dalle descrizioni e le foto di famiglia raccolte nel suo libro biografico “Come mi batte forte il tuo cuore, storia di mio padre”, conservano “l’austerità barbarica e contadina” del luogo. Ancora, la mamma di Walter, nonna di Benedetta, Luisa Fiorelli, anch’ella descritta minuziosamente, ci dice che era originaria del paesino di Cammoro. Ancora oggi, San Brizio e Spoleto tutta, contano fratelli e nipoti del giornalista, sempre pronti e disponibili con noi della stampa a ricostruirci la sua figura.
“Non sono Samurai invincibili” – titolava invece Walter, riferendosi ai brigatisti – nel suo ultimo articolo e, proprio la sera prima di essere assassinato, di “cadere sull’asfalto” di Via Andrea Salaino, luogo dell’assassinio in quel 28 Maggio 1980, si chiese, davanti al pubblico in un incontro al Circolo della stampa di Milano, dove si discuteva del “caso Isman” e dunque della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva delle bande terroristiche “Chissà a chi toccherà la prossima volta”. La storia ancora non ci aveva detto chi fosse Marco Barbone e cosa stesse architettando ma, ad oggi, purtroppo, lo sappiamo.
Tobagi, per il parere chi scrive, privo di retorica e di rituali frasi “fatte” dall’insipido sapore commemorativo, era dotato di una sottile acutezza lessicale che riusciva benissimo a rendere le idee con immagini figurate molto, e abbiamo visto come anche “troppo”, chiare, fino a renderle “scomode” al potere. Un’ idea, per la cronaca, la si può capire dalla definizione che Tobagi diede di Emilio Alessandrini, sostituto procuratore della Repubblica, assassinato in un agguato da “Prima Linea”: “rappresentava quella fascia di giudici progressisti ma intransigenti, né falchi chiacchieroni né colombe arrendevoli”. E chi vuol capire… capisca!
Giovanissimo, era già Presidente dell’Associazione Lombarda Giornalisti, nonché inviato speciale del Corriere della Sera divenuto “Martire della Libertà” per il suo impegno in anni molto difficili, come quelli tra il 1968 e il 1980, anni in cui i giornali erano meno afflitti dalle regole non scritte del commercio, anni in cui però erano soggetti a censure politiche-mafiose, gli anni delle Br appunto, “anni di piombo”, a causa delle quali era difficile rimanere liberi, onesti e indipendenti.
Sciascia scrisse di lui “lo hanno ammazzato perché aveva metodo”.
Secondo altri suoi colleghi, Tobagi non era un giornalista d’inchiesta, analizzava le questioni, dava nomi e interpretazioni, non rivelazioni di nuovi elementi: questo lo condannò a morte.
E la figlia, Benedetta, toglie al padre l’elmo da eroe quando lo vuole ricordare, preferisce lasciare in eredità quella parte dell’uomo “non giornalista”. Aveva solo tre anni quando la lasciò, insieme al fratello Luca, che di anni ne aveva 7, e la mamma Maristella.
…la mia vita è un caso […] forse avrei potuto restare a Spoleto o andare a Roma o finire a Mantova. Sono figlio del caso. W.Tobagi
(Benedetta Tobagi, “Come mi batte forte il tuo Cuore, storia di mio padre” p. 78)
Walter Tobagi 32 anni dopo
